Poi ci sono i miti o se volete le superstizioni. Uno di questi miti o di queste superstizioni è la Gioconda di Leonardo. Nella sala del Louvre che la ospita e che è infestata da fotografi e cineasti orientali, nessuno si fila i capolavori bellissimi che hanno la disgrazia di condividere lo stesso spazio del quadro in questione.
"Le nozze di Cana" del Veronese occupa per esempio tutta la parete di fronte ma per la marmaglia affamata che penetra nella sala è come se non esistesse. E così è per Tiziano e per gli altri. Oscurati per l'eternità da una superstizione. Forse neanche Leonardo sarebbe contento: il suo genio ci ha lasciato cose più suggestive, come per esempio La Vergine delle Rocce che si trova lì a pochi passi e che ancora qualche volenteroso guarda prima di andare ad omaggiare l'idolo.
Cercando di farmi spazio tra le teste-zucche e i corpi sudati cercavo di cogliere anche io l'essenza del Mito, congelata magari nel famoso sorriso. In quei momenti questo,dal vero, mi sembrava diverso da quello visto nelle mille riproduzioni. Forse era così. Ma in quegli attimi di felice estasi o felice ebetudine condivisa, ero evidentemente fuori di me.
Adesso, dopo un mese trascorso e a chilometri di distanza, la paresi facciale della Gioconda non mi incanta più.
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