giovedì 18 ottobre 2012

In letargo

Le mancuspie vanno in letargo. Non so quanto durerà, d'altronde questi buffi animaletti sanno essere tremendamente capricciosi. Il tempo e' cambiato, il cielo grigio e le piogge frequenti e mettiamoci pure il turbinio cattivo delle foglie secche hanno spinto le bestiole nelle loro tane. Non so quando ne verranno fuori, non so neppure se mai questo accadrà: trattasi di letargo a tempo indeterminato. La verità e' che anche io sono stanco di inseguire le mancuspie, di cercare di domarle, di costringerle a giochi da circo per qualche tizio che per sbaglio o per bontà si trova a passare di qua. E' diventato tutto così noioso. Non mi diverto piu' come una volta. Probabilmente cambierò idea ma ora mi pare che quei giochi siano troppo innaturali e perfino grotteschi. Un modo balzano di passare il tempo che e' invece così tragicamente limitato e prezioso e può essere impiegato per qualcosa di più nobile e meno transeunte, come le geometrie non euclidee, per esempio. Ok, ho sparato la mia cazzata snob e posso andare, mi sembra. Mi ritiro quindi pure io in qualche modo nella mia tana con un po' di provviste e un desiderio irrefrenabile di tacere. Tacere e fidarsi il meno possibile delle parole. E dei versi buffi delle mancuspie, naturalmente.

venerdì 12 ottobre 2012

At night

Assalito dall'idea della fine, inseguito nei sogni ad occhi aperti dalla vecchia in gramaglie, cerco di trovare una via di fuga ma scorgo solo l'inevitabile piano inclinato su cui si scivola giorno dopo giorno verso l'abisso. Nelle antiche fotografie fatico a riconoscermi: solo i miei occhi scuri e disillusi sono rimasti gli stessi. Così la notte è il tempo terribile perchè tutti i fantasmi vengono a interrogarmi ma io come sempre non so trovare le risposte. Seduto vicino alla lampada spio con curiosità e fastidio il mio riflesso nel vetro della porta e mi pare chiaro in quel momento che l'uomo, per poter sopravvivere, modifica il proprio passato con l'esercizio ambiguo della memoria. Non sono capace di tanto: ricordo (forse) quel che mi è accaduto ed i volti che ho guardato e le strade dove ho camminato ma niente,per così dire, è ingentilito da una trasfigurazione compiacente. Restano nel fiume del tempo , nell'acqua turbinosa e scura, frantumi di ricordi che mi urtano implacabili mentre cerco di galleggiare nella corrente che mi sta portando via. Non mi aggrappo a quei patetici relitti, non riesco a farlo, non voglio. Esco allora sul balcone a guardare la notte, le stelle, i gatti giù in strada che si muovono furtivi per i loro sentieri di libertà e desiderio. E' bella la notte ed Orione che sorge è una meraviglia: ecco Rigel a destra, ecco a sinistra Betelgeuse, poi le tre stelle della Cintura e la luce fioca di Bellatrix. E' una meraviglia Orione, e se non ci fossero quelle maledette case basse forse scorgerei addirittura Saiph. Si alza intanto un vento leggero che fa muovere le tende e le piante nei vasi, guarda come risplende il nuovo geranio nelle tenebre, dico tra me e me e mentre guardo quel fiore che non capisco mi accorgo che i fantasmi sono usciti anche loro sul balcone e hanno ricominciato a farmi domande. Non riesco a rispondere ed intanto guardo il cielo verso Oriente con Orione sempre più alto e più nitido (Dio mio ma che ore saranno?)ed ora si intravede perfino Saiph. Tutti questi nomi arabi di stelle, dev'essere bellissimo poterle guardare nel deserto, chissà se in mezzo al deserto oltre agli arabi ci sono pure i fantasmi, chissà se lì starei al sicuro, mi chiedo, mentre sento le loro voci implacabili e spettrali. E' molto tardi, è notte fonda e solo i gatti sono svegli e continuano a muoversi furtivi. Libertà e desiderio. Il rosa del geranio risplende nel buio del balcone. Non mi arrenderò ai ricordi ma non so dove andare, dico tra me e me. Guardo il mio volto nel riflesso del vetro e le mie gote scavate: furono le lacrime versate anno dopo anno, le stille salate e cadute di nascosto quando nessuno mi vide? Ma intanto è sorta Mirzam, l'araldo (Dio mio ma che ore saranno?) ed io lo so che presto toccherà a lei, la stella più bella: " la gran luce di Sirio" come disse Giovanni Pascoli. Povero Giovanni Pascoli. Chi legge oggi Giovanni Pascoli? Eppure Sirio sorge sempre per chi vuole guardarla. La sua luce bianca e intermittente è come la rivelazione di qualcosa che ti sarà dato ma che non si realizza mai, anche se uno non può fare a meno d'aspettare. Come Giovanni Drogo, forse. Ma io farò in tempo a vederla o la stanchezza mi farà rientrare in casa, infilarmi a letto e dimenticare tutto? Mi chiedo questo mentre l'araldo sta ancora lì ad annunciare la stella più importante ed Orione rifulge più in alto, mi chiedo questo nell'oscurità della notte e delle domande senza risposta mentre aspetto che Sirio sorga inevitabile e meravigliosa con la sua luce fredda e ingannevole, una lacrima di ghiaccio sulle tenebre del mondo.

mercoledì 10 ottobre 2012

La tartina del conte Tolstoj

Maurice Chevalier ha detto che la vecchiaia non è poi così male tenendo conto dell'alternativa eppure tante volte lo spavento dell'alternativa è superato dal disgusto di continuare a sbocconcellare per mesi, giorni e anni quella che il conte Tolstoj chiamava "tartina di merda". Forse è perché ho visto vecchi a me cari finire in modo troppo malinconico(ma so che a qualcun altro è andata ancora peggio) oppure è perchè ho scoperto che i vecchi diventano spesso prima bambini e poi oggetti, tappezzeria anche fastidiosa per noi giovani o di mezz'età che sediamo in una stanza insieme a loro. Muori giovane e qualcuno forse ti rimpiange, muori vecchio e qualcuno forse tira un sospiro di sollievo: la tappezzeria che anzichè adornare ingombrava la stanza viene provvidenzialmente rimossa e buttata via. Probabilmente ciò che chiamiamo mondo finirà con la nostra fine individuale: da un mare di percezioni e di pensieri basati su quelle percezioni passeremo al grande oceano del nulla dove non conteranno più le direzioni da prendere e le paure o le gioie o le vanità. Però il nostro spavento non dovrebbe riguardare questo. La nostra preoccupazione dovrebbe riguardare invece solo come si compie la discesa verso quell'oceano. Ecco che si impone alla mente la dignità della propria fine: uscire di scena come un uomo e non come un articolo di tappezzeria. Mi viene in mente la fuga finale del conte Tolstoj, la fuga disperata e paranoica dalla moglie e dai figli da cui si sentiva in qualche modo minacciato. Il vecchio Tolstoj fugge di notte e di soppiatto accompagnato dal medico personale. Viaggia in treno verso la Crimea ma la malattia e la vecchiezza lo arrestano alla stazione ferroviaria di Astapovo dove muore, raggiunto peraltro dai parenti. Mi viene in mente la tartina del conte Tolstoj. Poi, affinchè tutto questo sia sopportabile, mi impongo di ricordare quell'intervista a Vladimir Nabokov a cui riferiscono la storia della tartina di Tolstoj e lui che imperturbabile risponde: "«La mia vita è pane fresco con burro di campagna e miele delle Alpi".