venerdì 9 settembre 2011

La strada polverosa

Oggi una mia collega d'ufficio ha detto che crede nella reincarnazione. Ha cercato di spiegarci un po' questa sua fede ma spiegando si e ' notevolmente ingarbugliata.
Allora anche gli altri hanno cominciato a dire la loro per quanto riguarda la religione, Dio e cose del genere e quindi si sono tutti infognati dopo un po' in una paurosa palude di opinioni sparate così a caso.
Ho detto qualcosa pure io, qualcosa di incolore come al solito, credo. Poi ho taciuto.
Gli altri intanto erano arrivati ai vangeli apocrifi.
Non so se ci reincarneremo tutti come sostiene la mia collega o se vedremo Cristo in paradiso come ha detto l'altro mio collega oppure se non lo vedremo affatto come sostiene qualcun altro.
Oggi ci pensavo e qualche altra volta ci penso, ma il pensiero della fine non e' poi così importante per me: la fine prima o poi arriva e tutte le nostre credenze o congetture saranno solo parole, le vane parole che un giorno scorderemo o ricorderemo male e tutte al contrario...
Pero' pero' continuiamo come sempre a preoccuparci dell'abisso che si spalanca (quanto lontano, quanto profondo?) e non riusciamo neanche a renderci più tollerabile la strada polverosa che ci sta portando li'.

sabato 3 settembre 2011

Enigma contiano

''Da lei saliva afrore di coloniali che giungevano a lui come da una di quelle drogherie di una volta che tenevano la porta aperta davanti alla primavera...''


Paolo Conte canta questi bellissimi versi in Boogie. Arrivato alla parola ''quelle'' fa una pausa. E' allora che si realizza la magia dell'ambiguità. Paolo Conte, poeta enigmista.
E' solamente una mia illusione o quella magia la vedete anche voi?










venerdì 2 settembre 2011

L'impiegato triste

Tutto il viaggio con l'impiegato triste che ti racconta ogni volta la propria storia.
Ecco arrivano i vagoni della metro e tu sei sulla banchina solo coi tuoi pensieri che volano qua e la' come le cornacchie che poco fa hai visto in superficie.
Allora ti raggiunge quell'impiegato triste in maniche di camicia e cravatta nera come lutto per l'anziana madre oppure per la propria vita, piccolo buffo omino che storce la bocca e tu allora guardi il suo viso devastato mentre ti racconta di un capoufficio prepotente e di una moglie che non lo capisce, guardi i suoi occhi che hanno assorbito solo la tristezza delle strade secondarie e le sue scarpe che hanno attraversato solo mucchi di foglie secche in altri autunni.
Tutto il viaggio seduto accanto all'impiegato triste che nessun capufficio mai gratificherà e nessuna moglie bacerà con passione, omino buffo con la cravatta nera che ondeggia sinistra sopra la camicia bianca che sembra un solitario deserto di neve.
Vorresti strozzarlo oppure aiutarlo mentre i vagoni della metro corrono veloci nel ventre caldo della città, pieni di piccoli poveri e bastardi impiegati tristi.